L’ISTITUTO DELL’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO A VENT’ANNI DALL’INTRODUZIONE (2004/2024)
ASPETTI CRITICI
A cura di Avv. Paolo Massimo Strozzi
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è stata chiamata a pronunciarsi in merito all’applicazione dell’istituto dell’amministrazione di sostegno nel nostro Paese.
Il risultato si è avuto con la sentenza licenziata il 6 Luglio 2023 (caso CALVI contro ITALIA, n. 46412/21) che ha visto l’Italia condannata per violazione dei diritti umani, in particolare dell’art. 8 della Convenzione.
Il Giudice europeo, nel caso passato al vaglio, ha ravvisato numerose criticità e distorsioni giuridiche dell’istituto in esame e, in particolare, ha rilevato, nel caso specifico, un’illegittima ingerenza dello Stato nella vita dell’individuo, né proporzionata, né motivata dalle finalità perseguite dall’istituto in esame.
Secondo i giudici di Strasburgo “quando sono in gioco implicazioni così importanti per la vita privata di una persona, il giudice deve soppesare attentamente tutti i fattori rilevanti per valutare la proporzionalità della misura da adottare: le necessarie garanzie procedurali in questo ambito richiedono di ridurre al minimo qualsiasi rischio di arbitrarietà”.
La sentenza ci offre lo spunto per alcune considerazioni in merito al discusso istituto dell’amministrazione di sostegno a vent’anni dall’ingresso nel tessuto giuridico del nostro Paese.
L’amministrazione di sostegno è stata istituita con la L. 6 del 2004.
La norma conforma la necessità dello Stato di offrire supporto alle persone in difficoltà temporanee o permanenti, in modo più rispettoso dei diritti della persona rispetto i due precedenti istituti della interdizione e dell’inabilitazione.
L’art. 8 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo (1950), infatti, così sancisce: “Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza. Non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell’esercizio di tale diritto se non in quanto tale ingerenza sia prevista dalla legge e in quanto costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui”.
Nella Convenzione di New York del 2006 (ratifica legge 18/2009), invece, vengono universalmente espressi fondamentali principi a tutela della disabilità, argomento che è naturalmente intrinseco a quello dell’ADS.
Tra i tanti diritti inviolabili del disabile, la Convenzione, all’art. 3 ne precisa i seguenti:
“Il rispetto per la dignità intrinseca, l'autonomia individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte, e l'indipendenza delle persone; la non discriminazione; la piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella società; il rispetto per la differenza e l'accettazione delle persone con disabilità come parte della diversità umana e dell'umanità stessa; la parità di opportunità; l'accessibilità; la parità tra uomini e donne; il rispetto dello sviluppo delle capacità dei minori con disabilità e il rispetto del diritto dei minori con disabilità a preservare la propria identità".
Più in generale, va osservato come, al progredire della sensibilità verso il mondo della disabilità, tipica dei sistemi giuridici più avanzati, si è progressivamente abbandonata la visione dello Stato che debba farsi carico in modo più che invasivo della gestione delle persone con problematiche fisiche e/o mentali più o meno gravi, a favore di una mera assistenza, più rispettosa della volontà e della vita delle persone.
Dalla “sostituzione” della persona ci si è, quindi, spostati progressivamente verso la più consona “assistenza” della persona.
Così, anche il legislatore italiano nell’adeguarsi alle nuove esigenze del diritto più evoluto e contemporaneo ha introdotto, già come detto, nel 2004, l’istituto dell’amministrazione di sostegno che, anche dal tenore letterale della norma di cui all’art. 404 c.c., sembra essere effettivamente allineato ai principi sopra richiamati.
Per chiarezza espositiva, pare opportuno riportare il contenuto della norma:
“La persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, puo' essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio”.
Si veda, pertanto, come il legislatore abbia utilizzato una locuzione molto precisa e che definisce l’ambito di operatività dell’amministratore di sostegno alla mera “assistenza” (“può essere assistita da un amministratore di sostegno”). Un contorno che appare perfettamente allineato al più evoluto diritto sociale e conforme alla più moderna sensibilità verso i diritti delle persone diversamente abili.
Inoltre, si deve, altresì, osservare come il legislatore abbia concepito la norma in questione come una mera possibilità e non come un’imposizione. In altre parole, l’utilizzo della locuzione in forma possibilista (“può essere assistita” e non “deve essere assistita”) non può dirsi compatibile con un istituto impositivo/coercitivo. Motivo per cui, in assenza di consenso del beneficiario, l’istituto appare difficilmente ammissibile.
Ma si vada con ordine.
Gli aspetti problematici connessi all’applicazione del suddetto Istituto nel nostro Paese emergono essenzialmente in due fasi: la prima, quella dell’ammissibilità dell’istituto e la seconda, non meno importante, quella relativa alla sua concreta applicazione.
Con riferimento alla prima, potrebbe configurarsi la violazione del principio dell’autodeterminazione dell’individuo, con riferimento alla seconda, invece, la violazione di legge e, nello specifico, dell’art. 404 c.c. poiché, nell’applicazione concreta dell’istituto, potrebbe verificarsi la sua trasformazione da provvedimento di mera assistenza e sussidiarietà a misura altamente afflittiva e previdente la quasi totale sostituzione del destinatario della stessa (portando l’ADS a una sostanziale equipollenza ai due risalenti istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione).
Problematiche relative all’ammissibilità dell’ADS:
Vi è una nota prassi giudiziaria che ammette l’istituto anche di fronte al parere contrario di quello che dovrebbe essere il beneficiario.
Cosa di non poco conto, soprattutto, ove si consideri che, come vedremo nel punto seguente, la concreta applicazione dell’ADS, troppo spesso e illegittimamente, comporti enormi limitazioni al soggetto destinatario di tale misura.
Occorre tenere debitamente conto, poi, dell’evoluzione giurisprudenziale di legittimità sul punto, sempre più sensibile alla tutela della capacità ad autodeterminarsi della persona disabile, ovvero: “l'accesso alla procedura, pur non esigendo che la persona versi in uno stato di vera e propria incapacità d'intendere o di volere, presuppone dunque il riscontro di una condizione attuale di menomata capacità che non consenta alla persona di provvedere ai propri interessi, per cui non può essere disposto nei confronti di chi si trova, invece, nella piena capacità di determinarsi, anche se in condizioni di menomazione fisica (Cass. 4 novembre 2022, n. 32542; Cass. 31 dicembre 2020, n. 29981); infatti, il ricorso all'istituto nei confronti di chi si trovi nella piena capacità di autodeterminarsi, pur in condizioni di menomazione fisica, implicherebbe un'ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona e una lesione del principio di autodeterminazione che è diritto fondamentale dell'uomo” (Cass. Civ. n. 8413/2023). E, ancora: “In tema di amministrazione di sostegno, il giudice deve tenere conto della contraria volontà del beneficiario all'attivazione della misura, ove provenga da una persona di ridotta autonomia ma pienamente lucida in quanto affetta da menomazioni soltanto fisiche, in quanto essa costituisce l'esplicazione di una volontà libera, consapevole e non coercibile” (Cass. Civ. n. 32542/2022).
Si registra, allora, l’approdo della Suprema Corte alla non ammissibilità dell’istituto in caso di opposizione del beneficiario, anche se non con la dovuta tassatività.
Come prima evidenziato, la non ammissibilità deriva già chiaramente dalla formulazione legislativa della norma in termini possibilistici.
In questo senso, l’ammissibilità dell’istituto anche di fronte l’opposizione del beneficiario imporrebbe la formulazione della norma in termini di necessarietà. Cosa del tutto assente nel caso di specie.
Problematiche relative all’applicazione dell’ADS
Altro punto estremamente dolente dell’istituto in esame emerge con chiarezza nel decreto di apertura e nomina dell’Amministrazione di Sostegno.
Quivi, non è inusuale che l’Amministrazione di Sostegno venga di fatto trasformata in una inabilitazione/interdizione.
Si veda meglio.
Il Giudice Tutelare, troppo spesso, anziché limitare i poteri dell’Amministratore a un mero affiancamento del beneficiario onde rendere più semplice la vita di quest’ultimo e, quindi, nel senso del rispetto letterale dell’art. 404 c.c., allarga a dismisura lo spettro d’azione dell’ausiliario, facendolo sconfinare in una vera e propria sostituzione dell’amministrato, in palese violazione sia della legge nazionale (in cui si prescrive la mera assistenza e non certamente la sostituzione del soggetto) che delle norme sovranazionali.
Si pensi, a esempio, che nel decreto di apertura dell’ADS spesso sia previsto che:
- l’Amministratore di sostegno chiuda i conti corrente intestati al beneficiario, aprendone – in sostituzione – uno intestato all’ADS;
- l’Amministratore consegni all’amministrato una somma di denaro mensile (come si trattasse di una sorta di “paghetta”) per far fronte alle spese ordinarie;
- l’amministratore assuma la gestione ordinaria patrimoniale del beneficiario incassando pensioni, stipendi etc.;
- l’amministrato non possa partecipare alle assemblee di condominio;
- l’amministrato perda la segretezza della corrispondenza;
- l’amministratore possa decidere il di lui trasferimento in RSA;
E’ di immediata percezione come tali limitazioni e coercizioni si abbattano nella vita di quello che dovrebbe essere il “beneficiario” dell’istituto, comportandone completamente la sostituzione.
Tale prassi, oltre a rappresentare una trasformazione dell’istituto dell’Amministrazione di Sostegno in una interdizione di fatto (con davvero poche e impercettibili – se non rilevabili al solo occhio esperto del giurista – differenze rispetto a tale risalente istituto), appare evidentemente contra legem.
In sostanza, quindi, il nuovo e moderno istituto rispettoso dei diritti di chi vive nella disabilità – che avrebbe dovuto migliorare la loro vita con un mero affiancamento - è stato mutato, attraverso un’interpretazione libera e disinvolta della norma di legge, in uno strumento, per certi aspetti, disumano, ancorché illegittimamente coercitivo.
Più generalmente, poi, è indubbio come lo Stato per conseguire fini anche astrattamente legittimi debba muoversi sempre in un quadro di proporzionalità. Perdere tale ambito di equilibrio può portare ad assumere misure illegittime perché compromettenti diritti inalienabili dell’individuo. E’ quanto, a esempio, è stato rilevato nel già citato caso passato al vaglio della Corte EDU che, nel condannare lo Stato italiano per violazione dell’art. 8 della Convenzione, ha rilevato la sproporzionalità della misura adottata (con la quale l’Autorità giudiziaria aveva trasferito coercitivamente il soggetto in una RSA) rispetto all’obiettivo perseguito di proteggere l’individuo. Ovvero, per proteggere l’individuo, lo Stato doveva scegliere altri strumenti meno invasivi della di lui sfera privata e meno compressivi delle sue libertà fondamentali.
In altre parole, per concludere, laddove lo Stato necessiti di proteggere una persona, lo scopo della protezione non può certamente attuarsi per mezzo di strumenti del tutto sproporzionati che ne provochino la perdita di diritti inalienabili quali la vita privata, familiare, il proprio domicilio, la corrispondenza, l’autodeterminazione e tutti quegli ulteriori diritti della persona riconosciuti in forma sacramentale nelle Carte fondamentali istitutive dei sistemi giuridici più avanzati.
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