GIOVINAZZO STROZZI

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L’ELEMENTO DELLA GRAVITA’ DELLA LESIONE NEL TENTATO OMICIDIO: PROFILI DI LEGITTIMA DIFESA

(FOCUS SU CASSAZIONE 20741/2020)

A cura di Avv.ti Paolo M. Strozzi, Sandro C. Strozzi, Vincenzo Giovinazzo e Matteo Crosa


L’approfondimento prende le mosse dal caso affrontato dalla scrivente Difesa e sottoposto al vaglio della Suprema Corte, conclusosi con sentenza n. 20741/2020 Cass. Pen . Sez. I.

Durante una lite del tutto occasionale tra due soggetti, contraddistinta dapprima da un diverbio a distanza e, successivamente, da un brevissimo contatto fisico, Alfa colpiva con un unico fendente Beta nella regione dell’addome e subito scappava verso casa.

La lesione cagionata da Alfa, se non tempestivamente curata dal personale medico intervenuto in loco e, successivamente, da quello dell’ospedale, ne avrebbe cagionato la morte.

Alfa, quindi, veniva mandato a giudizio per il reato di tentato omicidio.

Il Giudice di primo grado, all’esito del giudizio abbreviato, riconosceva responsabile l’imputato del reato a lui ascritto, fondamentalmente sull’elemento della gravità della lesione concretizzatasi che, a dire del giudicante, avrebbe testimoniato l’intenzione omicidiaria (con dolo generico) dell’agente; morte di Beta non verificatasi, poi, per circostanze estranee alla sfera volitiva di Alfa. Veniva rigettata, quindi, l’impostazione difensiva proponente, invece, la legittima difesa sulla scorta del fatto che i soggetti non si conoscessero, che l’unico fendente dato da Alfa fosse stato inferto solo dopo che Beta per primo lo aveva afferrato violentemente per la testa e che fosse stato contestuale all’attacco di Beta. L’assenza dell’elemento dell’animus necandi e perfettamente compatibile con la legittima difesa emergeva chiaramente, altresì, dal comportamento tenuto da Alfa subito dopo il colpo inferto. Egli, infatti, ottenuta la desistenza dell’avversario, non inferiva in alcun modo sul corpo dell’antagonista, fuggendo subito dal posto verso casa.

La sentenza di condanna veniva confermata in sede di Appello.

La Difesa, quindi, portava all’attenzione del Giudice di Legittimità l’illogicità della sentenza laddove questa avesse preteso di individuare l’effettivo elemento soggettivo del tentato omicidio, escludendo la legittima difesa, sostanzialmente sulla base del solo elemento della gravità della lesione. La difesa argomentava come, per altro, tutti gli ulteriori elementi noti del fatto sottolineassero la mancanza della volontà di voler uccidere in capo ad Alfa, ma semplicemente quella di difendersi.

La Suprema Corte, in accoglimento della prospettazione offerta dalla difesa, cassava la sentenza rilevando in diritto come: “Ed allora ha ragione il ricorrente quando afferma che la motivazione contenuta nella sentenza impugnata appare disancorata dalle reali emergenze processuali, formula ipotesi apoditticamente rappresentate come circostanze pacifiche, presenta profili di evidente illogicità, se solo si consideri: […]

 - che non appare rispettoso della stessa ricostruzione dei fatti operata in sentenza non tener conto che la condotta reattiva dell'imputato era seguita non già allo scambio di ingiurie, ma a un comportamento del ****** che aveva spostato la contesa verbale sul piano del confronto fisico: era stata la vittima a staccarsi dagli amici e ad avvinarsi, anzi a "scagliarsi" contro l'imputato con "l'intenzione di fargliela pagare", scrivono i giudici di appello, così mostrando non solo e non tanto la superfluità della contestuale e peraltro erronea sottolineatura dell'omessa conferma, da parte del teste oculare, delle già riferite modalità dell'aggressione, ma implicitamente ammettendo che un'aggressione fisica vi era stata ad opera dello straniero, del quale si rimarcava la superiorità fisica rispetto all'avversario. E pare opportuno ribadire che l'attualità del pericolo, richiesta per la configurabilità della scriminante, implica un effettivo, preciso contegno del soggetto antagonista prodromico di una determinata offesa ingiusta, la quale si prospetti come concreta e imminente, così da rendere necessaria la reazione difensiva, restando estranea all'area di applicazione della scriminante ogni ipotesi di difesa preventiva o anticipata; ma tale non sarebbe certamente la condotta tenuta dall'imputato che, secondo la ricostruzione offerta, ha estratto il coltello solo quando l'antagonista era passato al contatto fisico.

Potendosi qui solo aggiungere che quando vi sia il dubbio sulla esistenza di una causa di giustificazione, in presenza di un principio di prova o di una prova incompleta, esso non può che giovare all'imputato (Sez. 1, n. 9708 del 7 luglio 1992, Giacometti, Rv. 191886; Sez. 5, n. 10332 del 5 settembre 1995, Lajacona, Rv. n. 202658; Sez. 1, n. 8983 del 8 luglio 1997, Boiardi, Rv. n. 208473; Sez. 2, n. 32859 del 4 luglio 2007, Pagliaro, Rv. 237758); e lo stesso vale con riferimento alla sussistenza dell'elemento soggettivo, quando emergano circostanze di fatto che giustifichino la ragionevole persuasione di una situazione di pericolo e sorreggano l'erroneo convincimento di versare nella necessità di difesa, poiché tali circostanze, anche se considerate non del tutto certe, portano ugualmente a ritenere sussistente la legittima difesa putativa (Sez. 4, n. 4474 del 15/11/1990, P.M. in proc. Abate, Rv. 187319).

E ogni volta che sia ipotizzabile (anche come conseguenza dell'applicazione del canone in dubio pro reo) la difesa legittima, non basta una oggettiva sproporzione del mezzo usato e delle conseguenze prodotte a fare ritenere comunque sussistente la responsabilità di chi reagisce a titolo di colpa. L'adeguatezza della reazione va verificata con riferimento alle specifiche e peculiari circostanze concrete che connotano la fattispecie da esaminare, secondo una valutazione di carattere relativo e non astratto, in relazione a tutti gli elementi di fatto - oggettivi e soggettivi - che connotano l'aggressione, sicché quando l'aggredito, fisicamente e psicologicamente più debole, abbia realmente un solo mezzo a disposizione per difendersi e l'aggressione subita non sia altrimenti arrestabile, l'uso di tale strumento, può risultare non eccessivo, se, usato con modalità diverse, poteva ritenersi adeguato.

In questo ultimo passo della sentenza, quindi, la Suprema Corte indica la strada da seguire dal giudice di merito per addivenire a una giusta decisione.

La sproporzione del mezzo usato e la lesione in concreto provocata, infatti, da sole non possono valere l’esclusione della legittima difesa quando la reazione, all’attacco ingiusto altrui, può essere giudicata congrua in base a tutti gli elementi di fatto oggettivi e soggettivi da considerarsi, come prospettato dalla sottoscritta Difesa nel ricorso per Cassazione, in maniera inscindibilmente unitaria (così, questa Difesa, nel ricorso per la Cassazione: ”[...] Pertanto, la scomposizione dei due elementi - operata, a dire della Corte (Corte d’Appello, ndr), per “ragioni di logica giuridica” - è tutt'altro che logica e giuridica, tanto è vero che ha prodotto un'applicazione errata della legge penale al caso di specie, giungendo a condannare il **** per tentato omicidio, pur avendo egli posto in essere un'azione tipica di chi si vuol solo difendere e in assenza di un qualsiasi motivo idoneo a sostenere che egli mirasse a togliere la vita del ****”).

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